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Tantra Yoga

 

 

 

Lo Yoga dell’unione Divina 

 

SESTA DISCIPLINA: lo yoga del sogno

 

Il primo passo della disciplina dello yoga del sogno è preparatorio, cioè dire, il sadhaka cerca di creare le condizioni di optimum che lo portino a comprendere e a ricordare le esperienze del sogno. Egli deve quindi tener presente il suo stato fisico e mentale.

Se egli conduce vita sedentaria, dovrebbe fare, prima di ritirarsi, una breve passeggiata corroborante all’aria aperta per rilassare i muscoli. D’altro canto si deve evitare un eccessivo esercizio che porti poi ad uno stato di fatica.

L’ultimo pasto del giorno deve essere leggero senza piatti ricchi o pesanti, e se il caffè o il tè disturbano il sonno bisogna evitarli. La conditio sine qua non, nella pratica dello yoga del sogno, è un piacevole stato mentale, libero dalle preoccupazioni giornaliere e dalle ansie terrene.

Quindi, il sadhaka deve raggiungere la tranquillità attraverso il pranayama, leggendo o ascoltando quel genere di musica che secondo lui ha la capacità di rilassare o calmare i nervi.

Egli deve anche prestare attenzione alla stanza in cui dorme, il cui arredamento sarà piacevole e tranquillo. I colori più opportuni a questo scopo sono le sfumature pastello del blu e del verde. I colori brillanti quali il rosso, il blu e il giallo sono i più inadeguati per una stanza in cui far pratica.

La stanza deve essere anche quieta, isolata contro i rumori del traffico che probabilmente disturberebbero le ore di sonno. Il senso dell’udito è più degli altri suscettibile agli stimoli durante il sonno e ciò è dovuto agli alti e bassi della sua sensibilità e il sonno del sadhaka è profondo p meno a vari intervalli nel corso della notte.

La stanza deve essere ben ventilata, ma non invasa dalla fredda aria della notte. Il dormiente sarà protetto contro una luce eccessiva che, in base ad esperimenti fatti, si è provato che produce immagini retiniche e fantastiche che naturalmente interferiscono con lo scopo dello yogi di mettersi in contatto con una coscienza più elevata.

Dopo un accurato esame di se stesso e della stanza in cui deve dormire, l’aspirante esamina il letto. Il materasso non deve essere né troppo duro né troppo soffice, cioè dire deve essere di una morbidezza tale da non influenzare la coscienza subliminale del sognatore.

Molle scricchiolanti o spalliere che fanno rumore al minimo movimento del corpo del dormiente costituiscono un serio inconveniente. Un suono che può essere a malapena notato in stato di veglia, a volte porta uno stato di allarme in una persona che in quel momento dorme di sonno leggero.

Un individuo medio muove un braccio o una gamba, durante un periodo di riposo di otto ore, forse venti o trenta volte e fa più o meno quindici giri completi con il corpo durante lo stesso periodo. Se le molle del letto scricchiolano o se la testata stride ad ogni movimento, il sadhaka non potrà compiere un buon sadhana.

Anche la scelta del cuscino è importante. Esso deve avere uno spessore tale da sostenere il capo senza dare il torcicollo. Un piccolo Notes usato solo a questo scopo e una matita vengono posti sotto il cuscino in modo da essere facilmente reperibili al buio.

Le lenzuola del letto devono essere fresche e pulite, senza pieghe o rigonfiamenti, la federa può essere profumata con l’essenza preferita dal sadhaka.

Se le coperte sono ripiegate sotto il materasso ai piedi del letto, devono essere lasciate abbastanza morbide in modo da non impedire i movimenti degli arti inferiori del dormiente.

Infine, bisogna tenere i piedi al caldo ed anche, se è necessario, indossare calzettoni di lana durante i mesi più freddi nei climi invernali.

Dopo aver considerato i suddetti dettagli, lo yogi procede con la seconda fase della disciplina. Entrando nel letto e con le luci spente, giace dapprima sul dorso, con gli occhi chiusi e le mani piegate sul plesso solare come descritto nella quinta disciplina.

Per pochi momenti giace quasi immobile respirando normalmente e rilassandosi il più possibile, sia mentalmente che fisicamente. Se è abituato a dire una preghiera quando si ritira, è ora il momento per farlo.

Quindi desiderando ardentemente chiamare in aiuto le forze più elevate dai piani interiori, egli decide di voler avere una continuità di consapevolezza attraverso lo stato di sogno. Questa consapevolezza lo metterà senz’altro in grado di richiamare alla mente i suoi sogni nello stato di veglia.

Una certa sonnolenza comincia a scendere sul sadhaka. Egli assume la posizione supina, chiamata dai tantrici tibetani la “Posizione del leone”, posizione che si assume nella seguente maniera: giacendo sul lato destro con il capo a nord egli solleva leggermente le gambe fino ad inclinare leggermente le ginocchia. In questa posizione, la gamba sinistra sopra la destra, egli poggia la guancia destra nell’incavo della mano destra e pone il braccio sinistro lungo la gamba sinistra.

Se durante il susseguente periodo di sonno egli inconsciamente modifica tale posizione non deve preoccuparsene troppo: la cosa importante è addormentarvisi.

Immediatamente appena si svegli, sia la mattina dopo che in differenti momenti durante la notte, il sadhaka annota i dettagli del suo sogno o sogni nel libriccino posto sotto il cuscino a tale scopo.

Anche si ci si ricorda solo di vaghi frammenti del sogno, bisogna annotarli egualmente. Le annotazioni vengono fatte prima di aprire completamente gli occhi, mentre si è ancora nel limbo tra lo svapna (sonno) e lo jagrat (stato di veglia).

Se egli ricorda solo pochi aspetti sconnessi del sogno, deve pensare di cominciare con quella che è presumibilmente l’ultima immagine e risalire indietro, cercando di rivivere completamente l’esperienza del sogno per una seconda volta. Lo scenario completo del sogno può in questo modo passare di nuovo attraverso la memoria dello yogi.

 L’immagine o i fatti che vengono messi a fuoco più accuratamente devono essere accuratamente descritti nel notes. Fatto ciò viene prodotto un intenso sforzo per ricordare la propria partecipazione al sogno: cosa ha fatto, detto o udito.

Una particolare attenzione viene consacrata a qualsiasi cosa straordinaria sia contenuta nel sogno; immagini, identità o luoghi che, sebbene sembrino perfettamente naturali nell’ambiente subliminale, appaiono sorprendenti o impossibili nello stato di veglia.

Fino a quando non ha ricostruito il più possibile della totale sequenza del sogno, il sadhaka non deve permettersi di ritornare completamente ad uno stato di veglia completo o di pensare a qualsiasi altra cosa che non sia il sogno che tenta di riportare alla mente.

Avendo ricostruito e rivisualizzato il suo sogno il più completamente possibile, egli registra la data e ripone il notes.

Nel caso in cui svegliandosi, il dormiente sia incapace di ricordare una qualsiasi parte del sogno, egli deve tentare di ricordare quale è stato il suo primo pensiero cosciente quando è emerso dal sonno. Tale pensiero, indipendentemente da quanto possa essere insignificante o sembrare irrilevante, è molto spesso strettamente associato all’esperienza di sogno appena conclusa. Esso può inoltre servire da legame connettivo che riporterà altri particolari.

Gli insegnamenti Tantrici affermano che la difficoltà nel ricordare i sogni può derivare da un troppo improvviso risveglio. Essi esortano i loro discepoli a  controllare le condizioni che possono causare un precipitoso e prematuro risveglio. Queste includono cose quali la tensione fisica, gli eccessi di temperatura, il rumore, lo stato d’allarme cronico.

Per superare quest’ultimo ostacolo si consiglia al sadhaka di visualizzare una fiamma a forma di mandorla e di un blu brillante che scintilla nel muladhara o chakra del sesso. Meditando su di esso, egli si immagina la fiamma blu elettrica che irradia verso l’esterno lungo i 72.000 nadi o canali psichici del suo corpo sottile, fino a racchiudere il suo corpo materiale in una nuvola luminosa.

Non è insolito per un individuo normale svegliarsi una o più volte nel corso della notte, e la ragione è che il nostro sonno non è un periodo ininterrotto di incoscienza. E’ piuttosto costituito da sei o sette periodi di sonno separati da leggeri dormiveglia o da stati di veglia completa. Ogni ciclo di sonno dura poco più di un’ora allo stesso modo del respiro che si alterna dall’ida al pingala.

Se lo yogi si sveglia completamente durante la notte, cerca ogni volta di richiamare alla mente il suo sogno e di annotarlo.

La maggior parte dei guru tantrici sostiene che i sogni che sono importanti da un punto di vista yogico, molto verosimilmente avvengono tra l’alba e il sorgere del sole, e non è difficile capirne il perché. In questo periodo il corpo fisico ha già avuto il suo riposo, è stato digerito tutto il cibo, e la mente è stata completamente liberata da ogni pensiero ricorrente, cioè dire da qualsiasi impressione sensoriale residua.

Dopo avere fedelmente registrato i suoi sogni, per una settimana o dieci giorni, il postulante li esamina attentamente studiando ogni immagine o impressione. Di particolare interesse sono le scene che sembrano appartenere ad un’altra era, o che avvengono in ambienti che hanno poco a che fare con quelli della vita reale del sognatore. Grande attenzione è data all’esame minuzioso di dati che includono incontri, conversazioni o insolite attività reciproche con persone od esseri sconosciuti al sadhaka nel mondo fisico.

Particolarmente degne di nota sono le esperienze di sogno di natura sessuale, che possono non essere a prima vista riconosciute per quello che sono o che possono apparire in simboli. In questa ultima forma, tuttavia, essi implicano sempre una fantasia che rappresenta l’unione di opposti come la forza elettrica e quella magnetica, il freddo ed il caldo, la luce ed il buio, l’energia statica e quella cinetica. Ad esempio, si può sognare una giostra, in cui un polo statico dà movimento e rende possibile attorno ad esso una varietà di attività.

Il praticante deve tener presente naturalmente che questi sogni hanno più di un livello di significato. Come Freud afferma essi possono essere espressioni di desideri non esauditi o, come dice jung, sorgere dall’inconscio collettivo. Per il tantrico, tuttavia, esiste un’altra genesi del sogno molto più profonda di queste fonti: il suo bisogno di reintegrare i poli opposti del suo essere in una unità nirvanica.

Infine, se il sadhana del sonno è positivo. Il processo di simbolizzazione condurrà ad un rapporto diretto con un’altra persona o un altro essere, generalmente del sesso opposto.

<<Il saha-dharmini (partner rituale) può apparire al sognatore sotto diverse spoglie>>, afferma Pandit Chatterjee. <<Per l’uomo o la donna indù, può essere come Parvati, Kali, Durga, Shiva o Vishnu, per il tibetano l’involucro può essere di Dakini o Yidam. Per voi dell’Occidente è meno probabile che assuma la forma di una divinità o di una figura religiosa, per voi la forma da esso assunta può essere un qualsiasi estraneo, un’attrice cinematografica, la ragazza della porta accanto.

<<Shastra insegna che Shiva-Schakti, possono assumere qualsiasi forma essendo l’origine di tutte le forme. Di conseguenza il sadhaka dovrebbe meditare su questo prima di addormentarsi, e dovrebbe ripetere in continuazione: ‘ O mia Shakti, vieni a me! ‘. Egli dovrebbe anche cercare di visualizzare ogni fase dell’Atto Segreto con colei che si è chiaramente manifestata a lui nello stato di svapna (sogno)>>.

Secondo il credo tantrico, se il neofita persiste in questa pratica, prima o poi un iniziatore emergerà dalle esperienze amorfe e mutevoli dei suoi sogni. Finché non ha chiaramente identificato tale iniziatore, deve continuare a registrare il sogno nel suo notes e ad esaminarlo accuratamente alla ricerca di importanti dati che possono essergli sfuggiti.

Quando l’iniziazione o l’elemento unificatore dello stato di sogno è stato identificato, lo yogi è pronto per il passo successivo di questa disciplina.

Questo consiste in ciò che viene chiamata la Pratica del Ritorno. Ogni qual volta l’aspirante, al momento in cui si sveglia,  ricorda l’iniziatore, sia esso persona, simbolo, colore o suono, deve continuare ad occhi ancora chiusi a visualizzare l’immagine chiave e a ritornare nel sogno. In altre parole, deve cercare di ripetere l’intero sogno, ma trasportandolo nella sua coscienza sveglia, con la lucidità e l’auto – controllo di quest’ultima.

Egli diventa così uno spettatore distaccato che partecipa anche all’esperienza che si evolve. Ragionerà sulle strane scene che gli si presentano come si può ragionare sulla storia di un film che si svolge sullo schermo.

Dapprima questo può essere difficile, poiché significa esistere contemporaneamente in due mondi, ma dopo ripetuti e pazienti tentativi, avverrà un transfert della coscienza terrena nei piani interiori. Quindi, asseriscono gli adepti tantrici, il sognatore liberato da tutti gli impedimenti della carne, sebbene ancora attaccato al corpo per mezzo di un filamento nucleare, emergerà dal suo vecchio ambiente familiare ed entrerà in un universo retto da leggi differenti (kaivalya). Di tanto in tanto il suo precettore e guida si sostituirà a lui per condurlo attraverso i riti del diksha.

Le discipline dello stato di sogno dei Tantrici Buddisti tibetani in alcuni punti differiscono da quelle dell’India. I Lama insegnano che tutte le impressioni sensoriali, sia dello stato di sogno che di quello di veglia, sono egualmente illusorie. La sola distinzione tra le due è che le une sono oggettive e le altre soggettive. Ma, come ha detto la scrittura indù, il mondo intero è il sogno di Brahma e quando Brahma si sveglia il sogno finisce.

Soltanto imparando a penetrare questo velo dell’irrealtà, comprendendo i suoi sogni, il sadhaka può svegliarsi al Vero Stato di Illuminazione.

Di conseguenza, lo scopo del sadhana del sogno tibetano è preparare il discepolo a riconoscere con chiarezza e a trattenere le “Quattro Beatitudini” che emergono sia nell’esperienza del sogno che nello stato post mortem. Queste quattro fasi successive sono conosciute come le Luci del Sonno. La prima, chiamata la “Luce della Rivelazione”, viene percepita o poco prima o durante le prime fasi del sonno e assomiglia alla luce splendente della luna bianca che brilla come falena in un cielo senza nuvole.

Mentre la sensazione di sonnolenza diviene sempre più profonda, il miscuglio di impressioni sensoriali residue e di pensieri discriminatori comincia ad affievolirsi. E’ a questo punto che sorge la seconda illuminazione, conosciuta come la “Luce dell’Accrescimento”. Essa di solito appare allo Jiva come la chiara brillante luce del sole. Durante il processo della morte, essa segna la fase cui ci si riferisce come periodo di Ignizione.

Solo gli yogi più esperti possono procedere oltre questa fase, per comprendere le due rimanenti luci. In ogni modo, per coloro che possono, la luce del sole si spegne in un buoi totale come una eclisse. Questa è la “Luce del Raggiungimento immediato”. Mentre il sadhaka che dorme impara a meditare su di essa, egli percepirà una pallida luce, <<come quella di una lampada racchiusa in un globo semiopaco>>.

La luce del raggiungimento immediato si dissolve non appena lo yogi sprofonda in un profondo sonno, sino a confondersi nell’ultimo Nulla, o “Luce Innata”, descritta come la prima emanazione di ogni Realtà. Da essa derivano la luce e il calore del sole e lo scintillio riflesso della luna.

“ Qui, nel quarto grado di Nullità, dimora il Figlio della Chiara Madre Luce – dice un trattato tibetano – fino a che egli sorge da esso come un pesce che balza dall’acqua e passa alla luce con un balzo”.

E’ ora chiaro per il praticante che la disciplina tibetana è in effetti una prova generale dell’ultimo sonno che è la morte. Le scritture dei Lama insegnano che il Bardo della morte che arriva alla fine di ogni vita umana, è identico al Bardo del sogno. Essendo morto molte volte di notte, il sadhaka che ha imparato l’arte yogica del Risorgere passa allo stato post mortem con stessa dolcezza con cui entra nel mondo del sogno.

Sir Thomas Browne, nella sua “Religio Medici”, ha espresso un analogo punto di vista scrivendo: Il sonno è una morte per cui noi viviamo in uno medio moderatore tra la vita e la morte, e, come per la morte, io non mi affido ad esso senza le preghiere e il mio addio al mondo e senza prendere congedo in un colloquio con Dio, dopo il quale chiudo i miei occhi in pace, contento di congedarmi da lui e di dormire fino alla resurrezione”.

 

 

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