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Tantra Yoga

 

 

 

Lo Yoga dell’unione Divina 

 

SETTIMA DISCIPLINA – la legge del ritorno – la reincarnazione

 

Sedete eretti su una sedia di fronte ad uno specchio largo abbastanza da riflettere la tua testa e le tue spalle. Una candela accesa deve essere posta accanto allo specchio in modo da illuminarlo senza riflettervisi. Nella stanza, non vi deve essere altra luce.

Dopo un momento di completo rilassamento durante il quale devi cercare di allontanare la coscienza da te stesso, comincia a respirare dolcemente contando 7, 1, 7, 1 come per le precedenti discipline. Esegui dodici cicli completi di questo pranayama, quindi resta un momento o due in fase di nishta, respirando molto leggermente attraverso ambedue le narici e non riempendo mai i polmoni più di un ottavo.

Ora forma il “mudra dell’integrazione” con la mano destra chiudendo le ultime due dita e piegando il pollice su di esse e lasciando il medio e l’indice tesi. Posa la mano in questa posizione, a palmo in giù, sul cuore e con le due dita tese punta verso il lato sinistro del corpo.

Allorché percepisci sotto la mano il battito del cuore, mentalmente ripeti le sillabe seme OM e HUM contemporaneamente a ogni pulsazione. Vale a dire, OM deve essere unita alla pulsazione sistolica e HUM alla diastolica. Tuttavia, non è necessario essere troppo esatti, unisci semplicemente OM a un battito e HUM al seguente.

Si dice che queste sillabe aprano il cuore permettendo al sadhaka di penetrarvi. Ripetere ventuno volte e quindi chiudere gli occhi.

Forma con la mano sinistra lo stesso mudra di quello della mano destra e con essa copri la mano destra. Quindi lentamente allontana la mano destra, lasciando la sinistra al suo posto sul cuore. Le due dita tese della mano sinistra, naturalmente, saranno puntate nella direzione opposta, verso il lato destro del corpo.

Con gli occhi ancora chiusi, immagina la tua coscienza penetrare all’interno del cuore. Esso è immaginato come una caverna ad arco, in un primo tempo piena di ondeggianti nuvole di rossa caligine. Gradualmente queste si aprono lasciando apparire una figura radiosa circondata da un’aureola di luce dorata.

Mentalmente cerca di comunicare con questo essere luminoso (che è il tuo io più profondo). Ad esso indirizza con fervore la tua petizione di una più profonda conoscenza, di una momentanea e fugace apparizione nel mistero senza tempo dell’essere e del divenire.

Mentre così mediti in profondo silenzio e rapimento, la Persona d’Oro si dissolve ancora una volta nella rossa caligine, ma ora la caverna vibra di una scampanellante nota di puro suono mantrico che gradatamente si spegne nel silenzio.

Il mudra della mano sinistra viene ancora una volta sostituito con quello della mano destra, invertendo il procedimento già eseguito.

Fatto ciò, apri gli occhi. Guarda seriamente ma con distacco la tua immagine nello specchio senza battere le palpebre o muovere gli occhi.

Ora, mentre fissi con fermezza lo specchio, vedrai la tua immagine dissolversi o sparire di colpo. Guarderai in uno specchio vuoto.

Non fermarti a pensare a ciò né permettere al tuo sguardo di ondeggiare. Se perseveri, un’altra faccia (talvolta una serie di facce) sostituirà il volto familiare che sei abituato a vedere quando guardi nello specchio. Il nuovo volto avrà l’aspetto di una delle vite del tuo passato sulla terra. Studiala attentamente, lascia la tua mente aperta alla intuitiva consapevolezza del suo messaggio e alla comunicazione col tuo presente involucro.

Quando gli occhi cominciano a riempirsi di lacrime, termina la disciplina intonando semplicemente la sillaba OM, prolungadola fino a quando la vibrazione finale non è più udibile.

Praticando questa disciplina, il sadhaka è esortato a tenere a mente che il suo scopo non è quello di soddisfare una frivola curiosità, ma piuttosto che tale pratica è usata per la guarigione della mente e del corpo per mezzo della rivelazione di un momento, rivelazione che supera la temporaneità e sottopone nudo, a lui, l’eterno presente. Questo momento svanisce, ma il suo potere, che tutto illumina, perdura.

 

 

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